Abedini torna libero: Nordio blocca l’estradizione e l’ingegnere iraniano vola a Teheran

Roma-Teheran
Mohammad Abedininajafabadi, ingegnere iraniano arrestato il 16 dicembre scorso a Malpensa su richiesta degli Stati Uniti, è stato liberato dal carcere di Opera e già rientrato in patria. La decisione è arrivata direttamente dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ha revocato l’arresto prima dell’udienza fissata per il 15 gennaio presso la Corte d’Appello di Milano.

La motivazione del Ministero della Giustizia
La revoca si basa sull’art. 2 del trattato di estradizione tra Italia e Stati Uniti, secondo cui l’estradizione è possibile solo per reati punibili in entrambi gli ordinamenti. “Le accuse mosse al cittadino iraniano non trovano corrispondenza nelle fattispecie previste dal diritto penale italiano”, spiega il Ministero in una nota ufficiale.

Abedini, 38 anni, esperto di droni, era stato accusato dagli Usa di terrorismo per presunti legami con i Pasdaran, che avrebbero utilizzato informazioni sensibili fornite dall’ingegnere per un attacco in Giordania in cui persero la vita tre soldati americani. Tuttavia, il governo italiano ha ritenuto insufficienti gli elementi probatori per procedere con l’estradizione.

La risposta di Teheran
La liberazione di Abedini è stata accolta con soddisfazione dall’Iran. Il portavoce del Ministero degli Affari Esteri iraniano ha espresso gratitudine per la “cooperazione tra le parti coinvolte” e ribadito l’impegno del Paese a tutelare i propri cittadini all’estero.

Il commento del difensore
L’avvocato di Abedini, Alfredo De Francesco, ha espresso sorpresa e sollievo per la decisione del ministro Nordio: “Le motivazioni addotte sposano quanto da noi sostenuto sin dall’inizio: l’assenza dei presupposti per l’estradizione e l’importanza del diritto alla libertà personale alla luce dei principi costituzionali”.

“Il mio cliente ha sempre avuto fiducia nella giustizia. Ora è una persona libera e potrà riprendere a sperare”, ha concluso il legale, ringraziando tutti coloro che hanno sostenuto la difesa.

Un caso diplomatico chiuso
Il caso Abedini, intrecciato a quello della giornalista italiana Cecilia Sala, detenuta a Teheran per 21 giorni e poi liberata, si è risolto grazie ai negoziati tra le autorità iraniane e italiane. La decisione di Nordio non solo mette fine alla vicenda giudiziaria, ma segna un ulteriore passo nelle relazioni diplomatiche tra i due Paesi.


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Rivolta a Casal del Marmo, feriti due agenti della Polizia Penitenziaria

Ieri pomeriggio, alcuni detenuti del carcere minorile di Casal del Marmo, a Roma, hanno aggredito tre agenti della Polizia Penitenziaria, sottraendo loro le chiavi delle celle. L’intervento tempestivo di altro personale ha permesso di recuperarle, ma due agenti sono stati ricoverati con prognosi di 12 e 4 giorni. L’episodio, denunciato dal sindacato Fns Cisl, è solo l’ultimo di una lunga serie che negli ultimi mesi ha portato il penitenziario al centro di polemiche.

Sovraffollamento record e tensioni crescenti
Attualmente, Casal del Marmo ospita 60 detenuti, 51 uomini e 9 donne, superando la capienza massima di 57. Solo tre anni fa, il numero di detenuti era di 25, ma secondo gli esperti non si è registrato un aumento dei reati commessi da minori. Il sovraffollamento, unito a condizioni difficili per agenti e detenuti, alimenta tensioni che sfociano in episodi violenti.

Un anno di episodi gravi
L’ultimo anno è stato particolarmente difficile per il carcere romano. A settembre 2024, una rivolta aveva provocato tre feriti tra gli agenti, seguita pochi giorni dopo da un incendio che ha distrutto due celle. Sempre a settembre, un gruppo di detenuti si è barricato in una sala. A luglio, tre giovani sono evasi scavalcando il muro di cinta, prima di essere rintracciati da Squadra Mobile e Digos.

L’impegno di Papa Francesco
La situazione di Casal del Marmo ha attirato anche l’attenzione di Papa Francesco, che negli anni ha visitato il penitenziario celebrando la lavanda dei piedi per i detenuti. Il pontefice ha più volte ribadito il suo impegno per migliorare le condizioni di vita nei carceri, un tema che a Casal del Marmo appare sempre più urgente.


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Meta abbandona i programmi di diversità e inclusione: “Non più attuali”

Dopo l’eliminazione del programma di fact-checking, Meta ha annunciato che i suoi sforzi per promuovere diversità, equità e inclusione (DEI) sono stati dichiarati superati. Il colosso guidato da Mark Zuckerberg ha confermato, tramite una nota interna riportata da Axios, che il cambiamento riflette “l’evoluzione del panorama giuridico e politico” negli Stati Uniti. Tra i programmi abbandonati figura il Diverse Slate Approach, pensato per favorire la diversificazione dei candidati nelle selezioni aziendali.

Risultati e abbandono dei programmi DEI
Meta, che in passato ha raddoppiato la presenza di dipendenti neri e ispanici negli Stati Uniti (dal 3,8% al 4,9% e dal 5,2% al 6,7%, rispettivamente), ritiene che tali sforzi non siano più necessari. La decisione segue un trend già intrapreso da altre grandi aziende come McDonald’s, Walmart, Ford e Lowe’s, e ora anche Amazon, che ha annunciato una revisione dei propri programmi DEI definiti “obsoleti”.

Un cambiamento dettato dalla politica e dall’etica
Secondo Axios, la scelta di Meta è influenzata dalla recente vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali, che ha portato Zuckerberg a riallineare le strategie aziendali per costruire un rapporto con la nuova amministrazione. La Corte Suprema statunitense ha inoltre emesso sentenze che potrebbero compromettere la legittimità di politiche che promuovono la diversità come trattamento preferenziale per determinati gruppi.

Addio fact-checking, spazio alla comunità
Parallelamente, Meta ha eliminato il suo programma di fact-checking affidandosi a un sistema di note comunitarie ispirato al modello adottato da X (ex Twitter) di Elon Musk. “Daremo alla comunità il potere di aggiungere contesto ai post”, ha dichiarato Joel Kaplan, Chief Global Affairs Officer di Meta. La decisione, plaudita dallo stesso Musk, rappresenta una svolta significativa nella gestione dei contenuti, orientata a una maggiore libertà di espressione.


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Omesso deposito di documenti: quando l’avvocato non è responsabile

Non sempre il mancato deposito di documenti da parte di un avvocato determina la sua responsabilità professionale, specie se tale omissione non è la causa diretta del rigetto della domanda di risarcimento. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 475, depositata oggi, in merito al caso di un ex dipendente di Poste Italiane che contestava la gestione legale della sua causa.

La vicenda

Il lavoratore aveva agito in giudizio per la dichiarazione di illegittimità di contratti a termine succedutisi nel tempo. Persa la causa in primo grado, aveva firmato un accordo transattivo con Poste Italiane e, successivamente, citato il suo avvocato per danni, accusandolo di non aver adempiuto correttamente all’incarico.

La richiesta è stata rigettata sia dal Tribunale sia dalla Corte d’appello di Lecce, che ha attribuito al lavoratore la responsabilità della decisione di non proporre appello. Inoltre, secondo la Corte d’appello, il giudizio prognostico escludeva che, anche con il deposito dei documenti mancanti, il risarcimento sarebbe stato riconosciuto.

I motivi del rigetto

Il rigetto della domanda di risarcimento non si basava solo sull’omesso deposito della dichiarazione dei redditi (necessaria a verificare l’esistenza di un’altra attività lavorativa), ma anche sul lungo intervallo temporale — oltre quattro anni — trascorso tra la scadenza del contratto e l’inizio dell’azione legale. Questo periodo, secondo i giudici, era indicativo di una rinuncia al rapporto di lavoro o comunque di una situazione incompatibile con il risarcimento richiesto.

La posizione della Cassazione

La Terza sezione civile ha confermato il ragionamento della Corte d’appello, ritenendo che l’omissione del professionista non fosse la causa determinante del rigetto della domanda. La Corte ha inoltre affrontato una questione relativa alle spese di giudizio, specificando che la condanna del ricorrente a pagarle non poteva essere evitata sulla base della sola “virtuale infondatezza” della domanda di garanzia contro un terzo.

Le spese processuali

Secondo la Cassazione, il rimborso delle spese sostenute dal terzo chiamato in causa è giustificato se la chiamata è necessaria rispetto alla domanda principale, anche se quest’ultima risulta infondata. Diversamente, il costo ricade sulla parte che ha chiamato il terzo solo se l’iniziativa è stata arbitraria, ossia priva di una ragionevole connessione con la causa principale.

Conclusione

Nel caso specifico, il ricorrente non ha dimostrato l’arbitrarietà della chiamata in garanzia, confermando la correttezza delle decisioni delle precedenti istanze. La Suprema Corte ribadisce così i principi di responsabilità dell’avvocato, legati non solo alla condotta professionale, ma anche alla rilevanza causale delle omissioni nel contesto complessivo della controversia.


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Aiga: “Prorogare modalità di svolgimento dell’esame di stato per sessione 2025”

L’Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA) ha inviato a tutte le forze parlamentari una proposta di emendamento al Decreto Milleproroghe, recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, per prorogare il regime transitorio delle modalità di svolgimento dell’esame di abilitazione alla professione forense anche per l’anno 2025, confermando quelle adottate per le sessioni 2023 e 2024.

“AIGA esprime la preoccupazione di migliaia di giovani praticanti avvocati, che attualmente non hanno certezze sulle modalità dell’esame”, afferma Carlo Foglieni, presidente AIGA. “La richiesta è quella di prorogare l’entrata in vigore delle modalità stabilite dalla Legge 247/12, favorendo così una continuità con le procedure attuali. È evidente infatti che, nonostante le numerose proroghe e le modifiche legislative intervenute nel tempo, l’attuale disciplina dell’esame di abilitazione prevista dalla Legge 247/2012 sia superata e non rispondente alle esigenze di preparazione degli aspiranti avvocati: l’introduzione obbligatoria delle Scuole forensi e l’adozione di modalità d’esame emergenziali negli ultimi anni hanno contribuito a delineare un quadro normativo e formativo più articolato e diversificato”.

La proposta dell’AIGA mira a garantire una maggiore coerenza e continuità nel percorso di abilitazione, riducendo le incertezze per i candidati e mantenendo la modalità speciale di svolgimento dell’esame che prevede una prova scritta (atto giudiziario) e un orale trifasico, già sperimentata con successo nella sessione 2023-24.
“La proroga del regime transitorio è un passo necessario per garantire un esame più equo e adeguato ai tempi”, conclude Foglieni. “Ma restiamo in attesa dell’adozione di una modifica normativa che preveda l’adeguamento, l’aggiornamento e l’ottimizzazione della disciplina in tema di esame d’abilitazione, offrendo finalmente ai giovani praticanti avvocati un percorso di abilitazione chiaro e ben definito, in linea con le attuali esigenze della formazione forense”.


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Giustizia e libertà di stampa: Meloni difende la riforma sulla diffamazione

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha risposto ieri alle critiche sulla riforma della diffamazione durante la conferenza stampa di inizio anno. Interpellata dal presidente dell’Ordine dei giornalisti, Meloni ha respinto ogni accusa di voler limitare la libertà di stampa.

“La proposta di riforma – ha dichiarato – non può essere definita un tentativo di limitazione della libertà di stampa. Risponde all’auspicio della Corte Costituzionale e prevede che, per la diffamazione a mezzo stampa, non ci sia più il carcere, una misura su cui sono totalmente d’accordo, ma una multa, che può arrivare fino a 50mila euro”.

Un intervento mirato e proporzionato
Meloni ha specificato che la sanzione economica riguarderà esclusivamente i casi in cui venga pubblicata consapevolmente una notizia falsa con l’intento di diffamare: “Non penso che un giornalista dotato di deontologia possa diffamare volontariamente qualcuno. Questo è un caso limite”.

La premier ha poi sottolineato un aspetto centrale della proposta: “Se si pubblica la smentita, il caso è risolto. Questo garantisce un equilibrio tra la tutela della reputazione delle persone e la salvaguardia della libertà di stampa”.


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Il Governo è pronto a fare un passo indietro sulla riforma della geografia giudiziaria del 2012, che ha portato alla chiusura di numerosi tribunali minori. Il sottosegretario alla Giustizia, Delmastro Delle Vedove, ha annunciato al Senato la presentazione imminente di un disegno di legge per riaprire alcune delle sedi soppresse e per istituire il nuovo Tribunale della Pedemontana veneta, con sede a Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza.

Un cambio di rotta necessario
“La stagione dell’arretramento dello Stato nei presidi di legalità sul territorio è finita”, ha dichiarato Delmastro. “È tempo di invertire quella tendenza, che riteniamo sia stata deleteria per l’erogazione della giustizia e per la presenza dello Stato sul territorio”.

Secondo il sottosegretario, il disegno di legge mira a rispondere alle esigenze delle aree interne e delle realtà insulari, spesso prive di presidi di legalità adeguati, e prevede l’elaborazione di organici calibrati su criteri specifici come il bacino d’utenza e il flusso di cause civili e penali.

Niente tribunali a metà
Delmastro ha assicurato che i nuovi uffici giudiziari non saranno “a stralcio”: la dotazione organica sarà adeguata sin da subito alle necessità del territorio. “Una giustizia di prossimità e un servizio più vicino ai cittadini sono obiettivi prioritari”, ha spiegato.

Un risultato storico
Anche il sottosegretario Andrea Ostellari ha sottolineato l’importanza di questa svolta: “Quello che annunciamo oggi è un risultato storico. La riapertura di alcune sedi soppresse e l’istituzione del Tribunale della Pedemontana veneta rappresentano un cambio di rotta che migliorerà l’erogazione dei servizi di giustizia, specialmente in territori con un elevato peso economico come il Veneto”.

Il Governo, ha concluso Ostellari, è impegnato in una riflessione più ampia per garantire una revisione periodica degli uffici giudiziari, in modo da rispondere con flessibilità alle esigenze di medio e lungo termine.


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Licenziamento discriminatorio: la Cassazione dice no

Un licenziamento motivato da ragioni discriminatorie è nullo, anche quando l’azienda invoca una riorganizzazione per giustificarlo. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 460 del 9 gennaio 2025, affrontando il caso di una manager licenziata poco dopo aver ripreso servizio in seguito a un incidente.

Il provvedimento espulsivo, secondo i giudici, viola il principio di parità di trattamento previsto dalla direttiva 2000/78/CE, che tutela i lavoratori con disabilità da ogni forma di discriminazione. Nel caso specifico, la dipendente soffriva di una grave patologia riconosciuta ai sensi della legge 104/1992, circostanza che avrebbe dovuto imporre al datore di lavoro maggiori tutele.

Un licenziamento senza giustificazioni plausibili
La Corte ha accolto quattro motivi del ricorso presentato dalla manager, evidenziando come la soppressione della posizione lavorativa fosse solo apparente. Le funzioni da lei ricoperte, infatti, erano state ridistribuite tra colleghi e superiori, senza alcun reale taglio organizzativo. Inoltre, il datore non ha fornito spiegazioni convincenti sul perché fosse stata scelta proprio lei per il licenziamento, al di là della sua condizione di salute.

La decisione della Corte d’Appello è stata così ribaltata, confermando che il recesso datoriale aveva natura discriminatoria. La manager ha ottenuto un risarcimento superiore a 52 mila euro per danno biologico, in considerazione delle vessazioni subite durante il periodo di malattia, quando il titolare dell’azienda la pressava con insistenza per farla tornare in servizio.

Disabilità e discriminazione: il principio ribadito dalla Cassazione
La sentenza sottolinea che la discriminazione per handicap si verifica quando il trattamento pregiudizievole si basa sul fattore di rischio rappresentato dalla disabilità del dipendente. Il datore non può mascherare un atto discriminatorio dietro motivazioni economiche o organizzative, e il rispetto della parità di trattamento deve prevalere.


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Sala e Abedini, Nordio: “Vicende parallele ma non congiunte”

Roma, 10 gennaio 2025 – “Prematuro per ora parlare di domiciliari e braccialetto elettronico. E’ fissata un’udienza e le carte dall’America non sono ancora arrivate”. Lo ha detto ieri sera al Tg1 il Ministro della Giustizia Nordio commentando la presentazione di una nuova istanza da parte del legale di Abedini di domiciliari e braccialetto elettronico.
“Stiamo valutando con le carte che abbiamo – ha aggiunto il ministro – e ci affidiamo al giudizio della Corte.
Sulla possibilità che Abedini possa essere estradato su richiesta degli Stati Uniti il Titolare di via Arenula ha spiegato: “Noi abbiamo un trattato di estradizione con gli Stati Uniti però non sono ancora arrivati gli atti relativi alla richiesta quindi sarà valutata secondo le procedure e quindi attendiamo.”
Esiste un collegamento tra le vicende Sala e Abedini?  La replica del ministro Nordio:  “No, sono due vicende parallele ma non congiunte. Due cose diverse tanto è vero che io come Ministro della Giustizia non ho mai partecipato alle vicende che riguardano la liberazione e di Cecilia Sala”

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